domenica 26 febbraio 2012

Val Torrone: Punta Chiara - Via Mauri/Ratti

Regaz presenti: Ago, Franz


Partenza con zaini davvero pesanti, ciaspole appese fuori. Caldo anomalo, ci mettiamo più di sei ore ad arrivare al bivacco Manzi, sfondando oltre il ginocchio nella neve molle.
L'ambiente però ci ricompensa, è una favola: siamo sperduti nel Masino d'inverno. Ogni gesto va calcolato, il pomeriggio si esaurisce nel mettere a posto i dettagli per il giorno dopo. Sciogliere la neve, stendere il sacco a pelo, preparare la ferraglia, sciogliere altra neve.
Il bivacco è diventato subito la nostra casa. Siamo silenziosi, di rado interrompiamo i lunghi silenzi per parlare di qualche cosa. I pensieri si impigliano nella solita rete di coincidenze che ci stringe, ci fanno scivolare in uno stato d'animo turbato e dalle parole sincopate.
Lentamente arriva il buio e il vento forte; fischia tra i cavi del bivacco e non ci lascia dormire.
Sveglia alle cinque e trenta. Rapido avvicinamento sulla neve indurita ed eccoci alla base del primo tiro. E' tutto vero, siamo qui.
Il primo tiro è frustrante, solo pochi metri di goulotte, il resto è neve inconsistente che obbliga ad acrobazie per mettere le rare protezioni. Finalmente arriva il cordone incastrato di cui parla la relazione! Mi infilo in un buco e arrivo a una piazzola decente per la sosta.
Ago mi raggiunge, guardando con apprensione l'orologio; abbiamo attaccato alle sette sono già le otto e un quarto. Ma non importa, appendiamo le picche sullo zaino e via per il secondo tiro, ancora coi ramponi ai piedi. Una volta sbucati sullo spigolo sud, è estate. Si scala senza guanti, alla seconda sosta ci togliamo anche i ramponi, che rimarranno definitivamente nello zaino, insieme ad una mezza portata per sicurezza. Stiamo scalando con un'intera da 70.
Il resto è bellissimo: la via difficile al punto giusto, siamo in scarponi e zaino ma non si sente troppo; a metà c'è un lungo tratto di neve ed è storia: il Masino d'inverno diventa la nostra Patagonia.
Ultimo tiro, il più duro, poi la parete spiana. Siamo in cima, non riusciamo a trattenere l'euforia. Il tempo, non ci siamo neanche resi conto, non è molto bello. Il caldo rimane anomalo.
Scendiamo a piedi per la cresta N, una delle incognite. Per fortuna non è niente di che, in breve siamo sul nevaio a ovest della punta Chiara e da lì, sfondando nella neve alta e osservando con preoccupazione alcune valanghe di neve bagnata, alle ciaspole che abbiamo lasciato all'attacco.
Comincia ad arrivare il calo di tensione: lascio volentieri andare per primo Ago in direzione del bivacco Manzi.
Di scendere a valle ora non se ne parla, troppo stanchi noi e troppo molle la neve.
Il secondo arrivo al bivacco è mistico, vuol dire per la seconda volta mettere la roba ad asciugare, sciogliere la neve, togliere le solette agli scarponi, cambiare le calze, prendere il sole con la porta aperta del bivacco, guardare il sole che scende verso il Picco Luigi Amedeo, leggere il libro del bivacco, fare le pose al tramonto, la Luna, Giove e Venere. Godere della bellezza di questa effimera routine.
La mattina dopo, sullo stomaco pasta e carne in scatola, scendiamo in un'ora e mezza. L'arrivo in fondo, tutta la Val di Mello e il sole davanti al bar Monica sono flash che appartengono a un sogno. Ago ed io ce ne andiamo con il nostro segreto, l'invernale in Val Torrone!




Qualido in winter































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